RIFORMA MADIA: L'AVEVAMO DETTO E LO CONTINUEREMO A DIRE…

Nazionale -


Dopo l’annuncio sugli organi di informazione dei contenuti della Riforma Madia, che in questi giorni sarà approvata, c’è di che riflettere e discutere ma, soprattutto, agire.
Poco alla volta appaiono sempre più chiari i termini dell’accordo siglato il 30 novembre scorso. Da una parte, giustificando la fretta di rinnovare i contratti bloccati da otto anni, ci si è accontentati di una elemosina – i favolosi 85 euro medi lordi a fine 2018 – dall’altra si è lasciata carta bianca al Governo di legiferare, modificare, ma principalmente attaccare quei pochi diritti che ancora rimangono.
Costretti dall’urgenza di recuperare qualche SI al referendum costituzionale per compiacere il Governo e ottenere di conservare le ragguardevoli rendite finanziare, CGIL CISL UIL hanno letteralmente svenduto i dipendenti pubblici. D’altronde questi sindacati si preoccupano sempre meno di conservare le tessere in quanto le principali entrate di bilancio provengono dai Servizi, Patronati, Enti Bilaterali, Fondi pensione Integrativi.
Con la crisi esplosa agli inizi degli anni 2000, la “ristrutturazione” del capitale europeo ha subito un’accellerazione. Ricordiamo la famosa lettera di Trichet e Draghi con cui la Banca centrale Europea dettava i provvedimenti che doveva prendere l’Italia per garantire “condizioni di bilancio sostenibili” e le riforme strutturali necessarie. Ma cosa sta a significare tutto questo? In primis un taglio pesante alla spesa pubblica che tradotto vuol dire:
- risparmi sulla spesa previdenziale da attuarsi attraverso l’innalzamento dell’età e abbassando i trattamenti pensionistici;
- privatizzazione di tutte le municipalizzate, delle partecipate e della maggior parte dei servizi pubblici quali trasporti e acqua;
- introduzione di meccanismi – quali la meritocrazia – utili solo ad ottenere una distribuzione salariale disomogenea ma principalmente per avere più facilità nei licenziamenti per scarso rendimento.
I riflessi di tutto ciò li stiamo già vedendo con la riforma della Scuola, con le varie riforme delle pensioni, con la chiusura di ospedali e servizi di assistenza. Premesso questo, passiamo ad analizzare quanto ci riservano le Riforme e il rinnovo contrattuale.
Premesso che la parte normativa del nuovo contratto la sta scrivendo unilateralmente il Governo, per quanto riguarda la parte economica sono stati previsti  solo a parole i famosi  85 euro e, sia la legge di stabilità che il DEF, non hanno previsto ulteriori risorse fino al 2020.  A tal proposito ci domandiamo: che fine hanno fatto i 20 miliardi di risparmi conseguiti con il blocco dei rinnovi contrattuali?
La riforma dei comparti avrà l’effetto di svuotare i contratti nazionali a vantaggio della contrattazione aziendale o di 2° livello. Questo produrrà, inevitabilmente, una distribuzione salariale e percorsi di carriera solo per pochi.






Anche la meritocrazia, introdotta con la L. 150/2009 – la famigerata Riforma Brunetta – si sta rivelando per quello che è realmente e cioè il modo per licenziare i dipendenti pubblici. Tutto questo impatta con una realtà, come quella dei ministeri, che sconta da decenni la disorganizzazione degli Uffici e la ripartizione sbilanciata dei carichi di lavoro gestiti da una Dirigenza strapagata, per la maggior parte incompetente e incapace. Quella stessa Dirigenza che dovrà esprimere giudizi e valutazioni sull’operato dei singoli lavoratori.
Da anni la USB ha lanciato l’allarme comprendendo da subito la portata di quello che si stava attuando con le riforme. Ha cercato in tutti i modi, attraverso iniziative, scioperi, presidi, assemblee, di far prendere coscienza del pericolo a cui andavano incontro lavoratori e lavoratrici pubblici ma anche tutti i cittadini. Politica e mass media attraverso la propaganda montata ad arte (campagna sui fannulloni e i furbetti del cartellino) sono stati i principali responsabili di un’operazione di “lavaggio del cervello” convincendo l’opinione pubblica e gli stessi lavoratori ad accettare tutto.
Ma ciò che ha consentito veramente ai vari Governi di portare a termine indisturbati l’attacco alla Pubblica Amministrazione e ai dipendenti pubblici è stato il totale immobilismo e la totale condivione a tutto questo di CGIL CISL UIL la cui attività, in questi anni, è stata solo quella di far credere che la conflittualità, come lo sciopero, non serva a nulla  e di “confinare” l’attività sindacale tutta interna ai posti di lavoro.
Non ci stiamo rendendo conto che si sta attuando un cambiamento che peggiorerà pesantemente il futuro di tutti noi, sia come dipendenti pubblici sia come cittadini.
Hanno tentato di covincerci che quanto avvenuto in Grecia in Italia non sarebbe mai accaduto.
Dobbiamo impedire che l’Europa della Finanza e i sindacati complici riescano nel loro progetto.
Buttiamoli fuori dai posti di lavoro e riappropriamoci della nostra dignità di lavoratori e cittadini che rifiutano la logica per cui siamo considerati come una spesa e un peso per la collettività e non come una risorsa indispensabile per garantire diritti uguali per tutti.
 
USB PI – settore Ministeri

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