PENSIONI: il peggiore accordo possibile.

Cagliari -

Non hanno solo riconfermato (peggiorandolo) lo scalone Maroni ed i suoi effetti. Hanno fatto di peggio. Hanno liquidato definitivamente il diritto alla pensione dei lavoratori dipendenti dalla categoria del salario differito, introducendo un meccanismo che porta la "cassa previdenziale" (quella cioè finanziata con i contributi dei lavoratori) nella completa disponibilità dello Stato.

 

Alla fine sono riusciti a mettersi d'accordo per smantellare la pensione pubblica.

Non si tratta solo delle "quote" che di fatto portano l'età pensionabile a 61-62 anni entro il 2013 (eguagliando e forse superando in negativo lo stesso scalone Maroni) ma di tutto l'impianto  di un accordo che disegna cosa sarà la previdenza negli anni a venire.

 

Un impianto che riprende la "Dini" e la esalta fino alle sue definitive e conclusive conseguenze.

Da oggi (è ufficiale, lo dice l'accordo) la pensione non sarà più determinata dall'equilibrio del rapporto tra entrate contributive ed uscite per il pagamento delle pensioni (da sempre, ed anche oggi, in attivo), ma da un meccanismo automatico (che i firmatari si sono impegnati a stabilire entro il 2008) che determinerà il valore dei coefficienti di rendimento previdenziale sulla base di parametri esterni al conto previdenziale come ad esempio l'andamento demografico e l'aspettativa di vita, il PIL nazionale, le dinamiche macroeconomiche, gli obiettivi di bilancio statale.

Sulla base di una valutazione (ovviamente arbitraria e di parte) di questi fattori ogni tre anni il Governo (per decreto del Ministero del Tesoro) stabilirà a quali coefficienti di calcolo della pensione si dovrà fare riferimento, stabilendo così in maniera automatica, e senza obbligo di contrattazione, il valore delle pensioni future riferendosi a parametri che con le pensioni e con lo stato del conto previdenziale non c'entrano nulla.

A nulla servirà che le casse Inps (finanziate dai contributi dei lavoratori) siano in attivo, quello che conterà saranno le decisioni del Governo.

Così la pensione del lavoratore dipendente esce dalla categoria del salario differito e contrattato. D'ora in poi le pensioni dei lavoratori dipendenti saranno determinate unicamente per decreto Governativo, che deciderà sulla base di fattori esterni all'equilibrio o meno del sistema previdenziale, e sulla base delle sue scelte in materia di bilancio.

Così alla fine l'accordo firmato ieri riduce la cassa previdenziale in una cassa nella completa disponibilità di uno Stato.

 

Possibile che Cgil Cisl Uil non sappiamo tutto questo?

Certo sappiamo che anche i sindacati hanno da anni deciso di puntare tutto sulla previdenza complementare (finanziata con sacrifici salariali aggiuntivi di lavoratori che ormai da anni vedono ridursi progressivamente le loro retribuzioni, costretti a consegnare il loro salario a speculatori di borsa), ma quello che hanno firmato liquida di fatto la possibilità di determinazione sindacale su una quota importante del salario differito dei lavoratori, cioè di quello che è rimasto della pensione pubblica, mandando definitivamente in soffitta anche la già debole loro parola d'ordine delle due gambe previdenziali, quella pubblica e quella integrativa.

 

Si confermano gli obiettivi dello scalone Maroni, si consegna al Governo la titolarità (una volta stabilito il meccanismo) di decidere ogni tre anni di quanto rallentare la dinamica delle nostre pensioni.

I lavoratori ed i sindacati perdono potere di controllo (dopo il TFR da giocare in borsa, ossia al bingo) sulla parte più importante del loro salario differito, ed il Governo, che già finanzia abbondantemente con l'attivo previdenziale le spese assistenziali altrimenti a suo carico, potrà ora allargare la sua possibilità di dirottare altrove una più consistente quota di queste risorse (ossia dei contributi che noi continueremo a versare pensando che servano per sostenere la nostra pensione futura)

 

Paradossalmente e sfacciatamente, tutto questo succede sapendo che i conti della cassa previdenza dei lavoratori dipendenti è in attivo e basterebbe a se stessa per almeno trenta anni ancora senza bisogno di interventi (lo dicevano anche Cgil Cisl Uil quando contestavano Maroni, e lo dicevano ancora fino a qualche giorno fa .... chissà cosa è successo).

Paradossalmente le uniche cose che creano problemi di gestione alla cassa previdenza (come il peso dell'assistenza che sfacciatamente da anni lo Stato finanzia con i nostri contributi previdenziali) non sono neppure accennate nell'accordo, dando quindi per scontato che all'ordine del giorno non c'era la sostenibilità della previdenza pubblica ma ben altro.

Paradossalmente si cerca di convincerci a guardare nell'accordo alcuni punti positivi, come ad esempio il ripristino delle 4 finestre di uscita e l'aumento di un caffè al giorno per le pensioni minime, ma si dimenticano di dire che queste loro graziose concessioni sono finanziate dai tagli alle nostre pensioni.

Ancor più paradossalmente cercano di rendere apprezzabile l'accordo sottolineando l'intervento previsto a favore dei lavoratori precari. L'accordo prevede infatti (per ora solo a parole) che verrà prevista la copertura previdenziale figurativa (ossia simbolica, nessuno versa nulla, neppure le aziende) per i periodi di inattività lavorativa e che a loro si vedrà (bilancio permettendo, quindi solo a parole per ora) di garantire una pensione di almeno il 60% della loro ultima retribuzione (che poi non sarà l'ultima come dicono alla TV ma una media di non si sa cosa), ultima retribuzione che sarà se va bene sui 1000 euro (visto l'andazzo). Il 60% dell'ultima retribuzione sarà quindi nella maggior parte dei casi pari a 600 euro (praticamente come la pensione minima sociale, quella che ancora oggi, poi si vedrà, non si nega a nessuno). Ma anche qui, copertura figurativa dei contributi e previsioni di spesa per il tetto minimo di pensione ai precari non vengono dalle casse dello Stato ma dal taglio alle pensioni.

Così fa anche in soffitta anche tutta la discussione sulla legge 30 la cui abrogazione avrebbe certo risolto più problemi (anche previdenziali) ai giovani e non solo.

Altrettanto paradossalmente ci viene fatto notare che l'accordo porta con se maggiori tutele per i lavori usuranti, quelle per intenderci che già ci erano state promesse con accordo nel 1995 per farci digerire la riforma Dini. Ci viene ora fatta passare come vittoria una cosa che già era un diritto contrattato e mai applicato dal 1995, che ancora oggi nell'accordo è in gran parte da precisare. Una vittoria tra l'altro (e nessuno lo dice) che sarà esigibile solo all'interno di un tetto di spesa non espandibile, comunque ricavato dai tagli realizzati sulle nostre pensioni.

 

Tutto quello che di positivo viene detto esserci nell'accordo non è certo elargito dal Governo come scambio per l'aumento dell'età pensionabile ma viene finanziato con la riduzione delle nostre pensioni.

E' un pò come se quello che ti ha appena sparato una mitragliata in pieno petto ti da poi una mentina per convincerti che non ti è andata poi così male, senza dirti peraltro che la mentina l'ha tolta dalle tue tasche.

 

Dulcis in fundum (visto che erano già seduti al tavolo, perchè non firmare anche questo ?) hanno deciso di detassare il salario contrattato in azienda (giusto per ridurre le entrate contributive oltre che quelle fiscali a favore, come sempre, dell'impresa, e di una scelta di smantellamento di quel che resta del contratto nazionale) e di aumentare ulteriormente dal 2011 i contributi previdenziali a carico dei lavoratori (aumentando l'aliquota dello 0,09%)

 

Una nota va infine segnalata riguardo all'unificazione degli enti previdenziali, che il Governo si impegna a proporre entro la fine dell'anno. Ovviamente il Governo si impegna a sentire anche i sindacati, non fosse altro perchè questo comporterà qualche migliaio di esuberi (come risparmiare altrimenti i 3,5 miliardi da questa razionalizzazione), ma l'operazione sembra avere anche un'altro senso.

Fino ad oggi era evidente nei bilanci Inps quali fossero i fondi in attivo (lavoratori dipendenti) e quelli in passivo (Dirigenti di azienda, lavoro autonomo ecc), così come era evidente a bilancio che i buchi dei fondi in passivo erano coperti dai fondi in attivo. Era chiaro cioè che esisteva, dichiarato a bilancio, essendo le gestioni distinte, un rapporto creditore-debitore che in qualche modo rimaneva un problema da risolvere. Con l'unificazione dei fondi e degli enti previdenziali c'è quindi il rischio che la gestione diventi unica con il risultato di nascondere il fatto che la cassa lavoratori dipendenti era in attivo e non abbisognava di alcun intervento, e finanziare senza che nessuno protesti quei fondi privilegiati che continuano a percepire pensioni ad un valore ben superiore ai contributi versati.

 

In conclusione è facile dire che ci troviamo di fronte al peggiore accordo possibile, lontano anni luce anche dalle stesse dichiarazioni sindacali fatte fino a qualche settimana fa, come pure da quella che loro chiamavano "piattaforma unitaria" pomposamente lanciata a febbraio 2007.

Il Governo ed i sindacati ci invitano ora a guardare l'accordo nel suo complesso ed a non soffermarci sui singoli punti (che in effetti presi uno ad uno fanno accapponare la pelle), ma è appunto guardando l'accordo nel suo complesso e nella sua filosofia di fondo che nasce la convinzione di essere di fronte ad un accordo da respingere. Non di soli scalini e di quote si tratta. Questo accordo liquida la previdenza pubblica e la trasferisce nelle competenze della tesoreria dello Stato (in parole povere di Padoa Schioppa o di quello che sarà il prossimo Ministro del Tesoro del Governo di centrodestra, forse Tremonti ??).

 

Un'accordo da bocciare quindi.

Da oggi inizia la battaglia per il diritto dei lavoratori ad un vero referendum sull'accordo, ma si rilancia su basi ancora più cogenti ed urgenti anche la battaglia per cambiare questo sindacato.

 

 

Coordinamento Nazionale delle RSU

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