CHIAMIAMOLO SMART WORKING MA, IN REALTA’, COS’E’?  USB CHIEDE LA REGOLAMENTAZIONE DEL LAVORO DOMICILIARE

Roma -

(62/20)   Il 95% delle lavoratrici e dei lavoratori INPS è in smart working, ha dichiarato alcune settimane fa l’amministrazione, tuttavia sarebbe meglio definirlo lavoro domiciliare in tempo di pandemia perché le modalità con cui si sta attuando quella forma di lavoro sono diverse dai contenuti legislativi presenti nella Legge 22 maggio 2017 N. 81 che ha istituito il lavoro agile.

L’attività lavorativa è svolta unicamente nell’abitazione del dipendente, la dotazione informatica il più delle volte è di proprietà dello stesso lavoratore, la prestazione non è regolamentata da accordo tra le parti e non risulta ben definito il periodo di disconnessione di cui deve poter beneficiare il lavoratore. E’ fin troppo evidente, quindi, che per semplificazione si definisce smart working quel che smart working non è.

Da qui l’esigenza di regolamentare la prestazione lavorativa con un accordo che garantisca al lavoratore il rispetto dell’orario di lavoro ed all’amministrazione una proficua attività produttiva, altrimenti nel caos non si comprende quali siano i diritti e quali i doveri finendo per lasciare ai dirigenti campo libero per replicare in modalità domiciliare i vizi organizzativi del lavoro in sede, come ad esempio il lavoro festivo e lo straordinario di sabato, utilizzati per gestire il flusso degli ammortizzatori sociali decisi dal governo a seguito dell’emergenza sanitaria.

Qui andrebbe aperto un capito a parte sull’utilizzo dello straordinario come merce di scambio per ottenere risultati in determinati settori che risultano particolarmente esposti all’attenzione mediatica ed agli interessi del governo di turno. E’ accaduto con le pensioni “quota 100”, sta accadendo ora con le misure di sostegno al reddito in tempo di pandemia. Restiamo contrari all’utilizzo dello straordinario, per primo perché serve a coprire le carenze di organico e poi perché spesso è utilizzato in modo discrezionale, senza possibilità di controllo da parte delle rappresentanze dei lavoratori. Vorremmo che l’amministrazione prestasse la stessa attenzione a tutti i settori di lavoro ed a tutti i lavoratori riconoscesse le medesime opportunità.  

Le lavoratrici ed i lavoratori di fronte all’emergenza sanitaria non si sono tirati indietro, collegandosi alle procedure informatiche anche nelle ore notturne ed al mattino presto pur di assicurare lo svolgimento dell’attività lavorativa, determinando un aumento della produttività di almeno il 10%. Chi ci avrebbe scommesso? Ma questo modo di operare non può e non deve durare.

E’ venuto il momento di mettere un po’ di ordine nella prestazione lavorativa legata all’emergenza, nella convinzione che la modalità lavorativa da remoto debba continuare fino alla fine dell’emergenza sanitaria, come ha richiamato il ministro della pubblica amministrazione nella sua ordinanza del 4 maggio. A nessuno venga in mente di anticipare il rientro in sede dei lavoratori finché sarà presente il pericolo dei contagi. Si approfitti piuttosto di questo tempo per effettuare i necessari lavori che garantiscano, in futuro, un’adeguata tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, sia interni che esterni, e dei cittadini utenti.

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