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ecco perchè la proposta di Contratto Integrativo delle Entrate NON CI PIACE

In questi giorni è in discussione il primo contratto integrativo per l’Agenzia delle Entrate (Vedi qui proposta dell'Agenzia)

L’impressione è che ci si trovi davanti a un bivio e che stavolta, se si dovesse imboccare la strada sbagliata non sarà possibile tornare indietro.

Dietro il paravento della presunta modernizzazione si nasconde una proposta assai poco moderna e, quel che è peggio, incoerente. Manca una politica “aziendale” di lungo respiro, manca il coraggio delle idee e mancano le risorse economiche per avviare percorsi di carriera certi e trasparenti. 

La lettura del contratto integrativo restituisce la spiacevole sensazione che dietro la parola modernizzazione ci sia un desolante vuoto, di idee, di progetti e di mezzi finanziari. Chi, tra i lavoratori, si aspettava il riconoscimento della professionalità dimostrata nei cinque anni passati, chi si attendeva che l’uscio della carriera si aprisse, resterà deluso.

I riconoscimenti raccolti per l’efficienza, l’efficacia e la capacità produttiva dimostrate nella breve storia dell’Agenzia delle Entrate rischiano di essere il segno di un destino beffardo: molte chiacchiere e pochi fatti.

I fatti, per noi, sarebbero innanzitutto il diritto alla carriera. Ma proprio il diritto alla carriera è diventato quel bivio davanti al quale i lavoratori devono decidere. Proviamo a mettere ordine alle cose.

Da qualche giorno i lavoratori dell’Agenzia soffrono per qualche mal di pancia. I fatti a cui ci riferiamo sono due: a) il ricorso dei colleghi B3 – classe 1996 - contro la procedura in atto per il passaggio tra le aree e b) le tante lamentele che ci giungono rispetto alla questione della cartolarizzazione dei beni demaniali e al modo in cui sono state impegnate le maggiori risorse.

Sono due segnali di sofferenza, per non dire di incazzatura.

La strada che abbiamo sempre scelto di percorrere è stata quella ideale (non ideologica) della politica sindacale, preferita all’altra, quella della carta bollata e dei tribunali. Abbiamo sempre creduto che il terreno su cui si compongono e si difendono i diritti dei lavoratori è quello del confronto politico, dell’azione sindacale, della lotta conflittuale che spesso è l’unica alternativa all’accomodamento. Altri hanno (legittimamente) scelto la via della concertazione.

Ai lavoratori come sempre, spetta la responsabilità e il diritto di giudicare e quindi di scegliere (quale tessera avere in tasca e se averne una). Accade però che i lavoratori facciano confusione, chiamino indifferentemente in causa “i sindacati” corrotti, collusi, confusi da interessi più vicini alla causa del padrone che a quella del proletariato. Noi a questo gioco non ci stiamo, e non perdiamo né perderemo mai occasione per distinguerci e puntualizzare la nostra differenza politica.

Piaccia o non piaccia, noi siamo le RdB, sul nostro sito si possono leggere cinque anni di politica sindacale scomoda, di rottura, di nicchia, secondo gli aggettivi che per noi sono un vanto e per altri un’offesa. Detto questo, vorremmo poter entrare nel merito di quanto sta accadendo con la “rivolta” dei B3 – classe 1996 – che si sentono a ragione figli di un dio minore. I nostri colleghi hanno però perso di vista la portata di questo fenomeno di paternità sfigata.

I figli di un dio minore, dentro questa Agenzia sono tantissimi, ci verrebbe da dire tutti. Il diritto alla carriera, alla formazione certificata, alla progressione economica, può essere tale solo se si tratta di un diritto universalmente condiviso dal personale dell’Agenzia delle Entrate.

Altrimenti si tratta solo di procedure parziali, settoriali, miopi; si tratta di meccanismi che alla lunga logorano i rapporti di solidarietà, creano divisioni, invidie, egoismi. Chi ha scritto la proposta di contratto integrativo queste cose le sa bene e ha trasformato il diritto alla carriera in un pericoloso gioco a eliminazione, una “guerra” tra bande rivali che potrebbe presto trasformarsi in una guerra senza quartiere.

Ciò che sta accadendo adesso potrebbe essere solo l’antipasto di una grande abbuffata in cui tutti proveranno a mangiare tutti.

I B3 – classe 1996 – potranno forse vincere la loro battaglia legale, ma si dovranno aspettare che altri a loro volta impugneranno la graduatoria in cui loro risulteranno utilmente collocati. In un futuro non lontano non ci sarà più spazio nemmeno per le lotte corporative: ognuno starà solo, davanti al suo Antares, trafitto da una valutazione inoppugnabile. E sarà sera, anzi notte fonda per tutti.

Davvero vogliamo che sia questa la via? Davvero vogliamo che la nostra carriera sia un palo della cuccagna, una corsa con i sacchi, degni di una festa paesana, più che di un’organizzazione che vuole dirsi moderna, efficiente, certificata e di qualità?

Qualcuno presto potrebbe cominciare a far cantare qualche sirena, qualcuno dirà che finalmente ci sono percorsi di carriera, qualcuno dirà che finalmente l’Agenzia delle Entrate ha imboccato la strada della modernizzazione.

A noi, come sempre rimane l’ingrato e amato compito di smascherare il trucco: questa carriera, questo contratto integrativo sono la casella del VIA di un gioco al massacro.

Crediamo invece che sia giunto il momento di far tacere le sirene e aprire in tutti gli uffici una discussione seria su quale futuro vogliamo decidere di avere; una discussione che coinvolga le lavoratrici e i lavoratori a prescindere da pregiudizi, false credenze e illusorie aspettative.

I mal di pancia di cui abbiamo parlato sono il segno che su questa e altre questioni finalmente si sta aprendo una riflessione largamente condivisa: meglio tardi che mai.

Su questo risveglio, e sulle differenze che passano tra noi e gli altri, si sta giocando il futuro di tutti. Per noi, come sempre, vale una sola regola: SALARIO, DIGNITA’ E DIRITTI.

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