Fondazione Don Gnocchi, telelavoro o lavoro agile? No, servizio esterno!

Roma -

Il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell’8 marzo 2020 ha previsto e consigliato il ricorso prioritario da parte dei datori di lavoro alla procedura di lavoro agile (c.d. smart working) per ridurre ove possibile i rischi di contagio sui luoghi di lavoro.

Per agevolare le aziende il DPCM semplifica le procedure prevedendo all’art. 2 co. 1 lett. r quanto segue:

 

 “la modalità di lavoro agile disciplinata dagli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81, può essere applicata, per la durata dello stato di emergenza di cui alla deliberazione del Consiglio dei ministri 31 gennaio 2020, dai datori di lavoro a ogni rapporto di lavoro subordinato, nel rispetto dei principi dettati dalle menzionate disposizioni, anche in assenza degli accordi individuali ivi previsti; gli obblighi di  informativa di cui all'articolo 22 della legge 22 maggio 2017, n. 81, sono assolti in via telematica anche ricorrendo alla documentazione resa disponibile sul sito dell'Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro”.

 

Anche in Fondazione Don Gnocchi esiste la possibilità di erogare alcune prestazioni lavorative in modalità “agile” nei settori amministrativi e in alcuni servizi clinici. Pensiamo che il ricorso allo “smart working” e alla tele-riabilitazione rappresenti una importante opportunità sia per i lavoratori sia per l’utenza di quei servizi che hanno subìto una sospensione per la comprensibile priorità di ridurre i rischi del contagio.

 

Se da un lato apprezziamo la messa in campo di tali realtà operative, grazie alla lungimiranza ed allo zelo di lavoratori clinici ed amministrativi che si impegnano ogni giorno, siamo un po’ confusi circa la cornice legale che Fondazione ha deciso di omettere nell’attuazione di tali circostanze di “lavoro da casa”.

 

Nonostante la chiara e semplificata procedura prevista dal citato DPCM, la Fondazione Don Gnocchi ha deciso arbitrariamente di definire il lavoro svolto da decine di lavoratori come un “servizio esterno”, stiracchiando una causale di variazione presenza già prevista dalle procedure interne per giustificare le trasferte lavorative, ma non certo il lavoro agile promosso dal DPCM citato né tantomeno il telelavoro previsto dall’art. 25 del CCNL vigente!!

 

Chiediamo con forza di valorizzare il lavoro svolto da dipendenti e collaboratori che stanno reclutando vecchie e consolidate qualità ma anche nuove ed inaspettate energie per rinnovare e adattare il proprio lavoro in questo straordinario periodo di emergenza!! Crediamo non si possa assimilare il lavoro svolto presso la sede lavorativa abituale al lavoro che il dipendente svolge dalla propria abitazione, con i propri mezzi, eppure così avviene in tutti i centri in cui è attiva la teleriabilitazione: la Fondazione Don Gnocchi non riconosce il tempo necessario alla organizzazione delle attività da erogare all’utenza se non in quei pochi e “fortunati” contesti in cui un minimo ed insufficiente tempo di back-office viene pagato coi soldi del SSN!

 

Ci sforziamo di non pensare alla Fondazione come a una “baracca” che punti al profitto, ma è molto difficile non farlo quando continuiamo a vedere una proattività troppo spesso votata ad affermare all’esterno un’immagine di efficienza e di avanguardia e molto raramente rivolta al proprio interno per sostenere e motivare chi col proprio lavoro quotidiano e con le proprie risorse (anche economiche) rende possibile tanta efficienza ed innovazione!!!

 

Alla luce di quanto fin qui esposto USB ha chiesto alla Direzione Generale della Fondazione Don Gnocchi:

  •  il corretto inquadramento amministrativo del lavoro svolto a distanza da dipendenti e collaboratori nei differenti ambiti clinico, tecnico ed amministrativo
  •  il riconoscimento delle ore effettivamente prestate per nome e per conto della Fondazione considerando il tempo necessario all’organizzazione delle attività erogate all’utenza, indipendentemente dagli accordi regionali di accreditamento dei servizi sanitari.

 

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