Il 20 giugno scioperiamo contro la guerra, contro il riarmo, per il salario e contro l’economia di guerra
Il 24 e 25 giugno si svolgerà un nuovo vertice NATO, un appuntamento in cui l’Italia, insieme agli altri paesi dell’Alleanza Atlantica, assumerà impegni vincolanti sul terreno della difesa militare e dell’industria bellica. Il governo Meloni, in piena continuità con i governi precedenti, ha già annunciato l’intenzione di raddoppiare la spesa militare, di accelerare la trasformazione della nostra economia in un sistema integrato e funzionale agli interessi strategici e industriali dell’apparato NATO.
Dietro la propaganda sull’“autonomia strategica”, si cela la volontà di destinare decine di miliardi di euro pubblici all’acquisto di armi, allo sviluppo di nuovi sistemi offensivi, al sostegno diretto e indiretto alle grandi aziende del comparto militare. Un cambio di paradigma che rischia di diventare strutturale, permanente, irreversibile.
È in questo contesto che l’Unione Sindacale di Base ha proclamato lo sciopero generale di tutte le categorie per l’intera giornata del 20 giugno. Uno sciopero contro la guerra e contro il riarmo, ma anche contro il devastante processo di militarizzazione dell’economia e della società. Una mobilitazione a cui hanno aderito anche altre sigle sindacali, e che nel settore metalmeccanico vedrà incrociare le braccia diverse realtà in lotta, contribuendo ad allargare il fronte della protesta in quella giornata.
Ci raccontano che gli investimenti nel settore della difesa servono a creare occupazione e innovazione. È falso. L’industria militare è, per sua natura, un settore ad alta intensità tecnologica e a basso impiego di manodopera: più robotica, più intelligenza artificiale, meno lavoratori. Le filiere produttive coinvolte sono selezionate, verticalizzate, e non redistribuiscono ricchezza né occupazione in modo equo. Al contrario, concentrano profitti in poche mani, spesso private, a fronte di ingenti finanziamenti pubblici.
Ogni euro investito in armi è un euro sottratto alla scuola, alla sanità, alla ricerca pubblica, ai trasporti, ai salari. Ogni fabbrica convertita alla produzione bellica è una fabbrica sottratta allo sviluppo civile, ecologico e sostenibile del nostro Paese. Ogni lavoro che “crea” l’industria della guerra è un lavoro che alimenta la morte.
Non si tratta solo di spese per nuovi armamenti: il Governo sta ridefinendo la stessa struttura produttiva del nostro sistema industriale, incentivando il coinvolgimento diretto di grandi aziende strategiche – Leonardo, Fincantieri, Ansaldo – in programmi militari e persino nel rilancio del nucleare civile e militare. Lo Stato, anziché esercitare un controllo pubblico nell’interesse collettivo, si mette al servizio degli interessi delle multinazionali del settore difesa, facendosi garante di commesse, mercati e coperture politiche.
C’è di più. Leonardo S.p.A., controllata per oltre il 30% dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, è oggi tra i principali fornitori dell’esercito israeliano. Addestra, arma, supporta logisticamente un esercito che da mesi è impegnato nel massacro della popolazione palestinese a Gaza, con oltre 60.000 morti, centinaia di migliaia di feriti e una distruzione sistematica delle infrastrutture civili. L’Italia – il nostro lavoro, le nostre tasse – è quindi coinvolta direttamente in una guerra coloniale e genocida, nel silenzio complice di istituzioni, partiti e media.
Dire basta significa interrompere questa catena di complicità. Significa ricostruire un’idea di lavoro, di sviluppo, di Stato, che non sia subordinata alla logica della guerra, della violenza, del dominio.
Per questo il 20 giugno scioperiamo. Non è uno sciopero “tematico”, non è una giornata simbolica. È una presa di posizione radicale e necessaria: le lavoratrici e i lavoratori devono disertare, devono fermare questa macchina di guerra, devono rompere il silenzio e l’assuefazione. Nessuna complicità, nessuna delega.
Scioperiamo perché il futuro che ci stanno preparando è un incubo fatto di precarietà, repressione, emergenze permanenti e militarizzazione del conflitto sociale.
Scioperiamo perché solo chi lavora può fermare la produzione della guerra.
Scioperiamo perché vogliamo salario, diritti, pace e giustizia sociale, non bombe, carri armati e droni dispensatori di morte.
E il giorno dopo, il 21 giugno, saremo in piazza a Roma, con una manifestazione nazionale che partirà alle ore 14:00 da Piazza Vittorio, per dare corpo e voce a un’alternativa concreta.
USB c’è, disertiamo la guerra respingiamo la complicità. Un altro modello di sviluppo è possibile. Un altro Paese è possibile. La pace si costruisce anche bloccando il paese e la produzione di guerra.