Incendio all'Università della Tuscia: USB, non è frutto del caso, servono investimenti in sicurezza, ma il governo taglia i fondi agli atenei

Roma -

Non bastava il crollo dell’Aula Vardabasso dell’Università di Cagliari o il pino crollato sugli studenti all’Università degli Studi di Salerno e eventi analoghi in alcuni altri Atenei. 

Oggi un’intera ala dell’Università della Tuscia ha preso fuoco. Forse per dei lavori di ristrutturazione o forse per errate manovre in un laboratorio, ma di certo sappiamo che l’incendio si è propagato anche perché nei laboratori erano stoccate quantità eccessive di prodotti infiammabili e soprattutto perché non ha funzionato l’impianto antincendio.

Da parte nostra, USB Università, ovviamente esprime la massima solidarietà ai colleghi e agli studenti dell’Ateneo di Viterbo, ma insieme alla solidarietà, non possiamo non considerare, con grande preoccupazione, che tutti questi incidenti hanno la stessa base. La mancata attenzione alla sicurezza del lavoro. 

Le cause possono essere tante, sicuramente la cronica carenza di fondi mirati all’edilizia universitaria che non consente manutenzioni corrette e adeguamenti strutturali. Una scarsità di risorse che questo governo sta aggravando. 

Tuttavia è del tutto evidente che il definanziamento degli atenei spinge docenti, dirigenti, lavoratori a concentrare la propria attenzione sulla “quantità della produzione” e non sulla qualità del lavoro.

Per compensare i tagli i CdA fanno economie contenendo i costi di manutenzione. 

Per non incorrere in penalizzazioni sulle finte valutazioni di merito i docenti non dedicano la dovuta attenzione alle procedure di sicurezza, ma solo alla ricerca di finanziamenti esterni.

Per non mettere a rischi la propria carriera i ricercatori precari non si permettono di contestare ambienti insicuri come i laboratori di agraria della Tuscia dove, stando alle ricostruzioni della stampa, l’incendio di oggi avrebbe riscontrato 500 litri di sostanze infiammabili stoccate nel laboratorio.

Non possiamo pensare che mandare i giovani a studiare si trasformi in una esercitazione di sopravvivenza.

Ancora una volta le ragioni a sostegno della nostra richiesta di 10 miliardi per far ripartire il sistema universitario trovano conferma anche in questi tragici eventi. 

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