L’operaio va alla guerra

Roma -

Non siamo in guerra.
C’è una pandemia che richiede un impegno di tutti per superare la crisi.
Non è una guerra, perché se ci fosse una guerra quello che occorrerebbe sarebbe vincerla, sacrificando nello sforzo la vita di quanti diverrà necessario sacrificare. Salvo poi definirli eroi ed innalzare in ogni comune un monumento a questi caduti.
E’ una pandemia e quello che occorrerebbe fare sarebbe mettere in campo tutte le iniziative possibili perché non una sola persona in più si ammali e muoia.
Alla fine cioè non avrà nessun significato la “vittoria” sul nemico, conteranno solo i numeri – che sono nomi, che sono persone – di coloro che si sono salvati.
Ma parlare di guerra fa comodo a chi mette gli interessi economici ed il profitto sopra tutto, sopra la stessa vita delle persone.
Il decreto “Cura Italia” ha di fatto stabilito che otto milioni di lavoratori sono sacrificabili. Cioè, se non vogliono essere accusati di “viltà di fronte al nemico”, devono comunque continuare a lavorare, affollando le strade ed i mezzi pubblici interdetti a tutti gli altri, e finire nel loro posto di lavoro, senza alcuna reale garanzia di una protezione efficace, per garantire il necessario e l’indispensabile.
Se “sacrificabile” - e sacrificato - è il personale sanitario nei cui confronti c’è una profusione di salamelecchi pelosi, se è “sacrificabile” il personale della filiera agro-alimentare e dei servizi essenziali, cui peraltro non si rivolge neanche un accenno di apprezzamento, su chiara pressione di Confindustria e delle altre organizzazioni padronali, sono stati classificati come “sacrificabili” milioni e milioni di lavoratori che in realtà non svolgono alcuna attività essenziale se non garantire al loro padrone il profitto atteso.
La vignetta, assolutamente pertinente, illustra chiaramente questa situazione
Ora, dopo le proteste avvenute in tutto il Paese, governo e cgil, cisl e uil, si sono incontrati nuovamente per ridurre, a loro dire, le 80 categorie introdotte nel decreto. 

Al termine dell’incontro questi signori si sono dichiarati soddisfatti, affermando di aver concordato la riduzione dell’elenco.
Tutto bene?
Peccato che, oltre a verificare in cosa consisterebbe questa riduzione, c’è il dato di fatto che una modifica reale al decreto “Cura Italia” avverrà solo in fase di sua conversione in legge. Per cui, quanto previsto nello stesso, continua a generare i propri effetti proprio quando l’Organizzazione Mondiale della Sanità prevede che nei prossimi giorni la pandemia in Italia potrebbe raggiungere il massimo picco. 

In sostanza una clamorosa presa in giro fatta sulla pelle di chi lavora.
Ma non solo, oggi è stato pubblicato il decreto legge n. 19, quello della contravvenzione da 400 a 3000 euro per chi esce senza motivo valido dalla propria abitazione, decreto in cui il lavoro in quelle 80 attività diviene una questione di polizia.
Il comma 3 dell’articolo 1 del decreto, infatti prevede l’intervento di autorità del Prefetto (certo, se lo ritiene necessario) al fine di garantire l’effettività e la “pubblica utilità” della produzione, “sentite le parti sociali interessate”.
Ovvero, non volete lavorare e mettere a rischio la vostra vita? Se non siete eroi siete disertori e vi obblighiamo a garantire la produzione ... di pennarelli(!)
Peraltro l’articolo 3 del decreto nega ogni possibilità di intervento in questo ambito alle regioni e dichiara la nullità di qualunque ordinanza da parte di un sindaco.
Siamo in guerra, ma non c’entrano nulla il contenimento della pandemia, la salute e la vita delle persone.
Siamo in guerra per garantire la struttura e gli interessi di un sistema economico che la pandemia l’ha generata.
Siamo in guerra e “sacrificabili” sull’altare del profitto. 

USB/P.I. Coordinamento Nazionale Lavoro e P.S., INL e ANPAL 

 

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