Precariato crimine di Stato

Nazionale -

Pubblichiamo con molto piacere la lettera di un gruppo di colleghi precari del Friuli Venezia Giulia, che esprimono aspettative e consapevolezza del mondo del precariato  scolastico.
Ci sembra  una tappa utile nel percorso che conduce alla nostra assemblea dell'8  maggio, proprio sui temi che la lettera affronta.


USB PI Scuola

 

Siamo una parte di quei duecentomila precari che ogni giorno mandano avanti la scuola italiana, lavorando con serietà e competenza, programmando, valutando, formando, partecipando a riunioni, collegi, consigli. In questo periodo così difficile per l’Italia, in mezzo alle controversie tra ciò che è giusto e non è giusto, è nostro dovere o non è nostro dovere fare anche rispetto agli organi collegiali, ci alziamo ogni giorno, ci sediamo davanti al pc, e iniziamo la nostra lezione, perché dopotutto questa professione ha anche un’etica e implica responsabilità: non abbiamo voluto abbandonare i nostri studenti in un momento così delicato, che coincide magari con l’anno della Maturità, abbiamo voluto continuare a dar loro supporto, sostegno e formazione, cercando di motivarli, di far capire loro l’importanza di questa tappa nella vita, mentre intanto una voce che si profondeva fra una dichiarazione e l’altra diceva: “saranno tutti ammessi, potranno scegliere un argomento a piacere. La commissione sarà interna per aiutarli” vanificando il nostro impegno e i nostri tentativi di gratificare gli alunni per il loro impegno. Erano le dichiarazioni di una voce che ripeteva costantemente alla tv o in diretta Facebook: “i miei studenti, i miei studenti”.

Eh no, cara Ministra, noi glielo vogliamo dire: i nostri studenti, come anche noi vorremmo avere il diritto di poterli chiamare con vero affetto e vicinanza e non per darci un tono autorevolmente elevato da quella poltrona fiancheggiata dalla bandiera europea e da quella italiana, chiedono serietà e competenza, chiedono docenti che a giugno non dicano loro “è stato bello quest’anno con voi, ma chissà se ci rivedremo”. Ma noi non diciamo mai loro arrivederci, anche se qualche volta è capitato, li abbiamo rivisti a settembre, mentre altre volte siamo stati messi a tappare i buchi, e abbiamo visto i nostri studenti, seguiti magari per due anni, tornare a docenti che sono rientrati da un part-time, o da una malattia, o da una maternità. E i nostri studenti, come avremmo voluto tanto chiamarli, ci incontravano per la strada o, in un anno fortunato, persino nello stesso istituto, chiedendoci perché non fossimo più non loro, perché li avessimo abbandonati, perché non avessimo combattuto per portarli fino agli Esami di Stato, ma li avessimo lasciati ad un’altra figura, a un altro metodo, a un altro modo di fare, di spiegare, di valutare. E loro – e non solo noi – a riabituarsi, a partire da zero, a capire chi ci fosse dietro quella cattedra, mentre noi cercavamo di conoscere altri allievi che forse il prossimo anno non avremmo più rivisto, cercando di impostare un metodo, di raccogliere quanto fatto dai nostri predecessori e dargli una nuova impronta, perché lei lo sa Ministro, l’insegnamento è anche libertà.

Ecco cosa è la scuola oggi, in Italia. È l’incertezza del domani, per noi, e per i nostri studenti.

Da anni noi precari mandiamo avanti la scuola italiana. Siamo duecentomila, ma il Ministro ha deciso che solo ventiquattromila di noi entreranno di ruolo una volta superato il concorso (a crocette). Rimarranno ancora a reggere la scuola italiana 176.000 precari, alimentando anno dopo anno un sistema che, evidentemente, a qualcuno sta bene così.

La scuola mai come ora ha bisogno di docenti motivati, che possano contare su un posto di lavoro che permetta, perché no, di poter fare un mutuo e pensare al futuro, sa, Ministro? Noi ci pensiamo al futuro, vogliamo poter credere che anche il prossimo anno avremo uno stipendio, che a scuola ci saranno docenti che conoscano i ragazzi, vorremmo non dover ogni anno cambiare sede di lavoro dicendo addio ai nostri alunni, a maggior ragione adesso, che si rischia che le presentazioni di inizio anno si facciano su piattaforme di videoconferenza.

Anche noi sentiamo di avere lo stesso diritto. Invece no, signora Ministra, si sta per avviare una grande selezione naturale che “sconfiggerà” per sempre il precariato italiano, perché noi, in piena pandemia, prenderemo autobus, treni, macchine, aerei, per sostenere un concorso dislocato in varie sedi di Italia, perché c’era tanta fretta di sistemare il problema dei precari, così tanta fretta da pubblicare un bando ancora prima che fossero scaduti i termini per la presentazione di emendamenti contrari, c’era così tanta fretta da sistemare il problema di duecentomila posti vacanti, che ha bandito un concorso per ventiquattromila persone.

Vogliamo la stabilizzazione del nostro contratto di lavoro e dignità per le nostre famiglie e i nostri allievi, che mai come ora hanno diritto di rivederci, seppur dietro un monitor, di nuovo a settembre.

Molti si stanno interessando alla nostra causa fra deputati, senatori e sindacati: propongono la stabilizzazione dei precari con tre anni di servizio, come accade per legge dopo ogni contratto di lavoro triennale, come vuole l’Unione Europea, come dovrebbe accadere in uno Stato che pensa ancora che l’Istruzione sia un futuro su cui investire, in dignità soprattutto, e con senso di amore verso i ragazzi, che sono il nostro domani, e che si meritano di poter dire a giugno: ci rivediamo a settembre, prof.

Arrivederci, cari studenti,

I vostri proff.

Perciò ci pensi, Ministra, ai suoi precari.

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