Smart working, pandemia e lavoro delle donne
Smart working, pandemia e lavoro delle donne. Il grande rimosso della riproduzione sociale colpisce ancora
In questi giorni stiamo arrivando alla conclusione di una fase in cui riteniamo che diversi fattori avrebbero dovuto essere presi in considerazione e visibilizzati.
Si fa un gran parlare di conciliazione e tempi di cura- lavoro ma possiamo davvero dire che sia così senza andare ad approfondire il lavoro delle donne o più in generale la reale portata del lavoro di cura?
Pubblichiamo un contributo della USB che focalizza tale visione, completamente scomparsa nelle traiettorie decisionali politiche e delle stesse Agenzie Fiscali.
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Quando la gente si sforza di essere ottimista sul distanziamento sociale e il lavoro da casa, facendo notare che William Shakespeare e Isaac Newton hanno prodotto le loro opere migliori e realizzato le loro scoperte mentre l’Inghilterra era devastata dalla peste, la risposta è ovvia: nessuno dei due aveva la responsabilità della cura dei figli.
Difficilmente l’esplosione di un’epidemia infettiva lascerà a coloro che hanno responsabilità di cura il tempo per scrivere King Lear o sviluppare una teoria sull’ottica. Certo, non erano donne, ma tant’è…
Riproduzione sociale
Sono passati 4 secoli ma anche la pandemia degli anni 2000 ci ha consegnato un Paese che si regge sul welfare familistico dove il vero ammortizzatore sociale sono le donne. Senza il loro lavoro invisibile, gratuito, dato per scontato le misure di contenimento non sarebbero state nemmeno immaginabili.
I lavori che garantiscono la cura si sono manifestati in tutta la loro centralità, ma continuano a non essere riconosciuti mentre il loro sfruttamento viene sempre più intensificato, dentro e fuori le pareti domestiche.
La quarantena ha amplificato la scena della riproduzione sociale, il tempo di vita che precede e rende possibile la produzione di lavoro salariato.
Al di là della connotazione biologica della riproduzione (gravidanza, parto, allattamento), che ovviamente appartiene alle donne, stiamo parlando di una massa enorme di vero e proprio lavoro completamente sottovalutato o svalutato: il lavoro domestico, di cura, formazione, educazione, appoggio psichico e fisico, affettivo, relazionale.
Il capitale stabilisce l’oblatività del lavoro di riproduzione come condizione naturale dell’essere donna con un incredibile capacità di estrarre valore economico.
La donna è un service provider gratuito in sostituzione del welfare universale in via di smantellamento.
La riproduzione sociale è la variabile nascosta dentro lo smart working per decreto, senza regole e replicante di modelli di divisione sessuale del lavoro.
Smart working e gerarchie di genere
La crisi ha acuito non solo le differenze di classe ma anche le gerarchie sessuate.
Lo smart working, previsto dalla legge 81 del 2017, è stato spacciato come una politica di conciliazione. Anche l’Unione Europea, nella Risoluzione del 13/9/2016 – principio generale n°48 – aveva evidenziato l’importanza di poter conciliare vita lavorativa e vita privata senza costringere il lavoratore a dover scegliere tra lavoro e famiglia .
Nessuno avrebbe potuto immaginare che dall’oggi al domani oltre 8 milioni di italiani sarebbero diventati smart worker per decreto.
Un istituto che per diverso tempo è stato rappresentato come una sorta di formula magica, come un’opportunità, oggi assurta nell’opinione pubblica a privilegio e prateria per nuove campagne di delegittimazione del lavoro pubblico, per riuscire a conciliare esigenze familiari e come soluzione meno penalizzante a livello economico e previdenziale rispetto al part time o ai congedi parentali.
A seguito della pandemia si è passati alla prova dei fatti e alla messa a verifica della sua reale funzione di conciliazione.
Uno degli elementi che lo caratterizzano è la messa a disposizione del tempo di vita come caratteristica tipica, insieme a gratuità e intermittenza, della femminilizzazione del lavoro.
Fattore di concausa è stato la chiusura delle scuole e l’isolamento domestico che hanno spostato il lavoro di cura dei bambini dall’economia retribuita – asili, scuole, baby-sitter – a quella gratuita.
Il coronavirus ha fatto saltare l’accordo negoziato fra tante coppie in cui entrambi i partner lavorano per il quale possiamo lavorare entrambi, perché altre persone si prendono cura dei nostri figli.
LIBRETTO USB: I numeri del lavoro gratuito in Italia
USB lo scorso marzo aveva preparato un libretto per lo sciopero femminista contro la violenza “I lavori delle donne tra produzione e riproduzione sociale” una intuizione tanto azzeccata quanto sfortunata che oggi ci offre una importante lente di ingrandimento
In Italia la riproduzione sociale equivale annualmente a oltre 71 miliardi di ore di lavoro gratuito (quasi 42 miliardi le ore di lavoro salariato), per un valore di 557 miliardi, pari al 34% del Pil. Per il 71% (oltre 50 miliardi di ore, 395 miliardi il valore) la riproduzione sociale è garantita dalle donne.
Una casalinga dedica al lavoro non retribuito quasi 7 ore quotidiane di lavoro non retribuito, contro le 4h circa delle donne occupate e 1h 47’ degli uomini occupati, ultimi insieme ai greci nella classifica del lavoro non retribuito nella UE. Al contrario le italiane, insieme alle romene sono al primo posto per quantità di tempo speso nel lavoro di cura: circa 5 ore.
Il lavoro domestico routinario, il più dequalificante, che rappresenta il 74,4% della riproduzione sociale, con un valore di 415 miliardi è per il 75,6% sulle spalle delle donne. Quello di cura vale 81 miliardi e anche qui le donne fanno la parte delle leonesse: 66,6%.
SUPERLAVORO ed equilibrismo
In questo contesto, il 13 marzo dalla sera alla mattina, siamo diventati “smart worker per decreto”. una convivenza ed interazione forzata e senza soluzione di continuità’ con figli, coniugi e familiari anch’essi obbligati a stare a casa. Insomma un super lavoro, un forzato equilibrismo tra incombenze lavorative e professionali e quelle legate alla famiglia
Mamme lavoratrici che fanno le acrobazie circensi tra smart working e didattica a distanza, senza più confini tra il tempo di vita e il tempo del lavoro
Da questo contesto di superlavoro consegue inevitabilmente un sovraccarico psicologico di ansia e fatica anche solo per riuscire a conciliare tutti gli impegni.
Per una donna* su tre lo smart working si è trasformato in “extreme working” perche I carichi sbilanciati riflettono il modello di famiglia precedente al coronavirus.
Voci autorevoli a conferma
- In una lettera spedita dalla Società degli economisti e indirizzata a Paola Pisano, ministra per l'Innovazione tecnologica e la digitalizzazione, "dati i ruoli diseguali nella distribuzione del lavoro di cura e domestico (è molto probabile che le misure di contenimento del Covid-19 comportino un ulteriore aggravio del carico di lavoro delle donne, con potenziali conseguenze negative di lungo periodo sull'occupazione femminile e sui divari salariali di genere".
- Il coronavirus colpisce in modo trasversale e globale, ma non illudiamoci che le sue conseguenze sociali saranno neutrali dal punto di vista del genere» avverte Renata Semenza, professoressa di Sociologia economica e del lavoro all’università degli Studi di Milano. Laddove l’home working sta funzionando, è possibile che le aziende lo tengano in piedi anche superata l’emergenza. Il rischio, però, è che applichino questa formula contrattuale prevalentemente alle donne. Sarebbe un cosiddetto “privilegio handicappante”, ovvero quella che appare una situazione favorevole - conservi il posto e segui i figli - ti ghettizza: resti isolata dai colleghi, hai meno possibilità di carriera»;
- la ricerca #iolavorodacasa di Valore D, l’associazione di imprese che da dieci anni è impegnata a promuovere la parità di genere nel mondo aziendale. Una donna su tre lavora più di prima senza riuscire a tenere separati il tempo dedicato alla casa e il tempo dedicato al lavoro.
Non a caso la legge del 2017 prevedeva Il ruolo dei CUG nella riforma della P.A.
In tempi ordinari era previsto che il CUG fosse coinvolto, vigilasse ed intervenisse a dare indicazioni precise in quanto lo smart working spesso non impatta in modo uguale se questa modalità è adottata da un uomo piuttosto che una donna.
FATTURA TEDESCHE
Questo lavoro occultato, naturale, svalutato è stato visibilizzato economicamente dalle Mamme tedesche che durante la pandemia hanno emesso fattura al Governo per il lavoro domestico in lockdown
Una class-action di mamme lavoratrici che durante il lockdown, si sono trovate sulle spalle l'insegnamento dei figli e che hanno deciso di emettere fattura nei confronti del governo federale perchè durante il periodo di reclusione domestica a causa del Covid hanno dovuto supplire alla chiusura dei servizi scolastici nonostante le tasse pagate per un servizio temporaneamente sospeso e in quel periodo non erogato.
Da questo gesto simbolico è partita una campagna nazionale per fare affiorare il peso economico del lavoro dietro le mura domestiche delle mamme.
Hanno calcolato che una mamma ha lavorato per circa 8 mila euro dal momento dell'isolamento per fare l'insegnante d'asilo, la maestra delle elementari o la prof, per svolgere il mestiere di infermiera, per fare la colf, la cuoca, la psicologa, la governante.
Ispettorato del lavoro. I dati sulle dimissioni
Sono 37.611 le lavoratrici neo-mamme che si sono dimesse nel corso del 2019. I papà che hanno lasciato il posto sono invece stati 13.947. I dati sono quelli dell'Ispettorato del Lavoro che ogni anno aggiorna le informazioni sulle convalide di dimissioni e risoluzioni consensuali di madri e padri. In tutto, si legge nel Rapporto, sono stati emessi 51.558 provvedimenti, con un "leggero" incremento sull'anno prima (+4%). E, "come di consueto la maggior parte - si fa notare - ha riguardato le madri". È così nel 73% dei casi.
Solo il 21% delle richieste di part time o flessibilità lavorativa, presentate da lavoratori con figli piccoli, è stato accolto. Lo rileva il Rapporto sui provvedimenti di convalida per neo-genitori, con bimbi sotto i tre anni, dell'Ispettorato nazionale del lavoro. Su 2.085 richieste ne sono state infatti accolte 436.
Lo smart working anche come fabbrica di sensi di colpa
La commistione tra telelavoro e lavoro agile implica il rischio di una moltiplicazione dei carichi di lavoro e quindi del tasso di sfruttamento a tutto vantaggio del datore di lavoro, utilizzando in modo combinato fattori tecnologici e fattori psicologici.
Così il vantaggio di potersi liberare in alcune fasce orarie, spesso per svolgere lavori di cura prima relegati alla sera, ha come contropartita la rarefazione del limite orario entro cui si termina la prestazione.
Va considerato anche il senso di colpa che agisce nella misura in cui si ha la “libertà” di ritagliarsi momenti propri in orari che per abitudine erano riservati all’attività lavorativa finendo per essere perennemente connessi e disponibili. Le stesse pause che si prendono all’interno dell’orario lavorativo finiscono per essere in numero inferiore e di durata più breve.
Pur essendo possibili diverse forme di controllo su questa modalità di lavoro (verifica accessi, durata di accesso, keylogger) in realtà l’autocontrollo finisce per essere la forma più efficace tra queste.
Per le donne il lavoro agile, così strutturato, finisce per essere la modalità per massimizzare e combinare lavoro subordinato e lavoro di cura in un ciclo continuo che si interrompe solo nelle ore di sonno.
Senza adeguate indennità e strumenti di welfare lo smart working diventa una modalità di lavoro che comprime ulteriormente i tempi di vita invece di liberarne.
Le conclusioni, i rimedi
La pandemia avrebbe potuto offrire anche un’opportunità, in cui registrare e far prendere in considerazione dalle ricercatrici e dai decisori politici le differenze di genere.
Per troppo tempo, la classe politica ha dato per scontato di poter addossare la cura dei bambini e degli anziani ai privati cittadini – soprattutto le donne – di fatto garantendo un enorme sussidio all’economia retribuita. Questa pandemia avrebbe potuto ricordarci la vera misura di questa distorsione.
E invece non solo ha replicato il ruolo di ammortizzatore sociale delle donne, ma ha cristallizzato che non sia avvenuta una reale redistribuzione del lavoro di cura e che vi sia anche il rischio di una rinuncia allo stipendio su logica selettiva familiare.
In tutto questo lo smart working ha rappresentato il ciclo continuo della produzione, la casa fabbrica che si fa asilo per un welfare che non c’è
Il Lavoro Agile, se incanalato nelle forme regressive di sfruttamento della forza-lavoro, soprattutto femminile, si sommerà, o sostituirà, alle forme più degradate di lavoro, quelle che richiedono un impegno frammentato.
Le imprese possono usare il lavoro da remoto come strumento di flessibilità, con diverse conseguenze: «Davanti a una grande crisi c’è il pericolo che alcune posizioni possano trasformarsi in tagli o contratti precari.
La dismissione dei servizi pubblici nutre la retorica della conciliazione tra tempi di vita e di lavoro, il cui punto di partenza è che siano le donne a occuparsi del lavoro riproduttivo.
Non si impara nulla dalla Storia
Eppure questa non è stata la prima pandemia della storia. Vi è l’incapacità dell’Occidente di imparare dalla storia: Le indagini scientifiche su la crisi dell’Ebola in tre paesi africani nel 2014, Zika nel 2015-16 e recenti epidemie di SARS, influenza suina e aviaria hanno dimostrato che essi hanno avuto effetti profondi e durevoli sull’uguaglianza di genere.
Link al libretto USB
https://www.usb.it/fileadmin/archivio/usb/usb_lavoridelledonne_web.pdf
USB PI Agenzie Fiscali