Una sentenza "allineata", contro la democrazia sindacale

Nazionale -

 La Sezione Lavoro del Tribunale di Roma in data 7 febbraio 2019 ha respinto il ricorso promosso da USB Pubblico Impiego con il quale si chiedeva di dichiarare illegittimo ed annullare l’art.7 del CCNL del Comparto Funzioni Centrali, laddove dispone che alla contrattazione integrativa nazionale possano partecipare solo le Organizzazioni Sindacali firmatarie del contratto.

Abbiamo già ampiamente commentato l’antidemocraticità di questa norma che non tiene affatto conto della rappresentatività ottenuta grazie al consenso dei lavoratori e delle lavoratrici del comparto attraverso l’iscrizione ed il voto RSU, rappresentatività che paradossalmente consente di sedere al tavolo per il rinnovo del CCNL ma non a quello della contrattazione integrativa nazionale di Ente/Amministrazione.


L’assunto che guida tutta la sentenza è sostanzialmente questo: il contratto integrativo non può derogare o rimettere in discussione l’assetto complessivo fissato dal CCNL. Ne consegue che se vuoi partecipare alla contrattazione integrativa devi condividere i contenuti del contratto e quindi firmare. In questo modo di fatto si decreta la negazione del dissenso, la negazione dell’opposizione, si manda un messaggio ben chiaro: l’obbligo di accettazione della pratica della concertazione e delle politiche della controparte.

Il dissenso, l’opposizione a contratti trasformati in contenitori a perdere, sia sul piano salariale che su quello normativo, non solo non è tollerato ma è negato, piegando il sistema delle relazioni sindacali agli interessi del manovratore che, con la complicità evidente di cgil cisl uil e di una pletora di sindacati autonomi, nega il ruolo fondamentale che l’opposizione dovrebbe avere nel contesto di una normale dialettica democratica.    Sia essa sindacale o politica.


Potremmo aprire una discussione sul fatto che alcuni, pochi in verità, aspetti del contratto sono rinviati alla contrattazione integrativa che può operare scelte che, calandosi nelle specificità lavorative delle singole Amministrazioni, possono dare risposte concrete a necessità peculiari anche con l’apporto di chi contesta l’impianto generale. Ma è del tutto evidente che questa sentenza non ha altro risultato che quello di negare ogni diritto al dissenso, accogliendo le indicazioni dell’Aran e della Funzione Pubblica basate sulla necessità del mantenimento del monopolio sindacale di chi è completamente asservito alla controparte, a prescindere dal requisito di rappresentatività.


Il passaggio della sentenza del Tribunale, privo di ogni fondamento, che sostiene che la partecipazione alla contrattazione integrativa è garantita attraverso i propri rappresentanti eletti nell’ambito delle RSU  (cfr. “da ciò consegue che se l’Organizzazione sindacale non sottoscrive il CCNL e, quindi, non può partecipare alla contrattazione collettiva di secondo livello, la stessa in ogni caso vi potrà partecipare , sia pur attraverso i propri rappresentanti eletti nell’ambito della RSU”), ignora il fatto che la RSU – l’organismo sindacale elettivo - non partecipa alla contrattazione integrativa nazionale di Ente/Amministrazione, appannaggio delle sole OO.SS. rappresentative che, secondo il contestato art. 7 del CCNL Funzioni Centrali, sono firmatarie del contratto.


La USB ha sempre proposto al tavolo Aran, in sede di discussione dei regolamenti RSU, la necessità dell’elezione di una RSU nazionale che partecipasse alle trattative nazionali di Ente/Amministrazione, sulla base di un principio democratico che vorrebbe che l’elezione da parte dei lavoratori dei propri rappresentanti riguardasse anche il livello di contrattazione più “pesante”, dove si operano le scelte che poi ricadono sui territori attraverso la contrattazione integrativa di secondo livello, l’unica dove, bontà loro!,  è prevista la presenza dei rappresentanti dei lavoratori.  Abbiamo sempre trovato una netta opposizione a questa proposta, non solo da parte dell’Aran, ma anche di cgil,cisl e uil che non accettano alcun confronto che possa mettere minimamente in discussione il loro monopolio, a prescindere dal consenso che esse hanno nei posti di lavoro.


Il richiamo alla partecipazione delle RSU appare quindi del tutto fuori contesto, e con esso si vuole dimostrare – in realtà mal interpretando il sistema delle relazioni sindacali a livello di singolo Ente/Amministrazione – l’esistenza di una effettiva democrazia sindacale a tutti i livelli di contrattazione. Non a caso nella sentenza si legge: ”Pertanto, (vista la partecipazione delle RSU alla contrattazione integrativa ndr) la norma di cui all’art.7, qui in esame, non incide nella sfera della libertà sindacale dell’organizzazione sindacale ricorrente…” .   


Inoltre il richiamo alla partecipazione della RSU a garanzia dell’Organizzazione Sindacale non firmataria, in questo caso USB Pubblico Impiego, contrasta fortemente con la tendenza sempre più marcata, e sancita dagli accordi, di annullare ogni specificità di sigla all’interno dell’organismo di rappresentanza dei lavoratori. La RSU, ci ricordano in ogni occasione, è organismo unitario   e di conseguenza il singolo componente RSU non può richiedere l’assemblea del personale, non necessariamente è componente della delegazione trattante laddove i regolamenti di funzionamento prevedano che questa non rappresenti tutte le sigle che hanno ottenuto seggi, non può nella stragrande maggioranza dei casi apporre note a verbale agli accordi territoriali.   Come si può quindi parlare di tutela dell’Organizzazione non firmataria?


La partecipazione delle RSU viene richiamata dal giudice anche per giustificare l’infondatezza della questione di anticostituzionalità sollevata nel ricorso presentato da USB P.I. sulla base della sentenza della Corte Costituzionale del 2013 che è intervenuta nell’ambito della vicenda FIOM/FCA.  La norma che prevede l’esclusione dalla contrattazione integrativa secondo la sentenza non è in contrasto con gli artt. 2, 3 e 39 della Costituzione “essendo prevista, in ogni caso, la partecipazione degli organismi di rappresentanza unitaria alle OO.SS. dotate di rappresentatività…”.


E con quest’ultima affermazione si palesano in maniera evidente le contraddizioni insite in questa sentenza, non solo per il richiamo alla partecipazione delle RSU, ma anche per quello del requisito di rappresentatività.  La partecipazione alle RSU è garantita a tutte le organizzazioni sindacali, a prescindere dal requisito di rappresentatività che viene misurato a livello nazionale di comparto.  Tra un’organizzazione sindacale rappresentativa e firmataria del CCNL, una rappresentativa ma non firmataria e una non rappresentativa, a livello di RSU non c’è alcuna differenza. Ma al Tribunale sfugge questa lapalissiana verità.


Ciliegina sulla torta, la diversità di disciplina del settore pubblico rispetto a quello privato sarebbe un ulteriore elemento a giustificazione del non accoglimento dei dubbi di legittimità costituzionale.  Peccato non aver notato che la Consulta nella sua sentenza del 2013 stigmatizza la penalizzazione del dissenso operata nei confronti della FIOM in quanto non firmataria del contratto.  Stessa condizione in cui si trova USB, penalizzata per non aver condiviso i contenuti di un contratto, per inciso sulla base della consultazione dei lavoratori.


Ma noi non ci arrendiamo, sappiamo di avere ragione proprio sulla base dei principi individuati dalla Corte Costituzionale e stiamo predisponendo l’atto di appello, continuando la nostra battaglia per il riconoscimento della democrazia sindacale, rinunciando ad apporre qualunque firma “tecnica” che rappresenterebbe una scorciatoia per ottenere un posto ai tavoli sindacali di Ente/Amministrazione, utilizzata da chi ha rinunciato a lottare.
 
 
Esecutivo Nazionale USB PI

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