USB vince il giudizio sulla pausa mensa in assemblea, INPS condannato in Cassazione

Roma -

Da oltre dieci anni all’interno dell’Inps è stata introdotta una pessima prassi gestionale relativa alle assemblee esterne usufruite per l’intera giornata.

Ai lavoratori aderenti a questa tipologia di assemblea viene riconosciuto – come previsto dalle norme – il buono pasto ma viene attribuito un debito orario di 30 minuti, corrispondente alla durata minima della pausa mensa.

Si tratta di una prassi demenziale e priva di qualsivoglia fondamento giuridico, che non trova riscontro in nessun’altra pubblica amministrazione italiana e che suscita incredulità o ilarità in chi - esterno all’Inps - ne venga a conoscenza. Basta infatti usare la logica per capire la pretestuosità della pretesa di trasformare la pausa mensa in debito orario da recuperare.

La stessa definizione del sostantivo pausa palesa la sua esclusione dall’attività lavorativa. Come se ne può quindi chiedere il recupero in caso di mancata effettuazione? Con questa “logica” si dovrebbe procedere a retribuirla quando venga effettuata ma il principio di non contraddizione non è ancora contemplato tra gli strumenti di lavoro di certa dirigenza e certa avvocatura dell’Istituto.

USB Inps si è opposta da sempre e in tutte le forme possibili contro questa vergogna, dai tavoli di trattativa a specifiche iniziative di protesta, incontrando sempre il “muro di gomma” dell’Amministrazione. I vertici e i Capi del Personale dell’Istituto succedutisi nel tempo hanno sempre mantenuto – non si sa se per ignavia, inerzia o sprovvedutezza – lo status quo, trincerandosi dietro motivazioni pretestuose e sconfinanti nella farneticazione.

La struttura USB Pubblico Impiego Inps di Monza ha attivato nel 2014 un ricorso giudiziario contro l’Inps, contestando l’illegittimità dell’attribuzione del debito orario di 30 minuti, che di fatto trasformava la pausa mensa in orario di lavoro e costituiva un disincentivo alla partecipazione dei lavoratori alle assemblee sindacali. La causa ha visto la soccombenza dell’Inps sia in primo che in secondo grado di giudizio (nel 2015 e nel 2018), senza che ciò determinasse un ravvedimento relativamente alla gestione di situazioni analoghe.

Con sentenza numero 2168 del 05/07/2024, anche la Corte di Cassazione sezione Lavoro ha riconosciuto le ragioni della USB INPS, dichiarando infondate tutte le argomentazioni alla base del ricorso dell’Inps contro la sentenza di secondo grado e ravvisando anche – come peraltro nei precedenti gradi di giudizio - nel comportamento dell’Amministrazione l’integrazione della condotta antisindacale, sia pure non dolosa. La sentenza ha stabilito di porre a carico della parte soccombente (Inps) anche il pagamento della totalità delle spese processuali, ad ulteriore conferma della temerarietà della lite.

Si dovrebbe aprire una riflessione interna all’Inps sulla responsabilità dei dirigenti generali che assumono decisioni palesemente illogiche pur di andare contro i lavoratori e NON SONO MAI CHIAMATI A RISPONDERE DEI LORO ERRORI.

A questo punto ci aspettiamo che i vertici dell’Istituto chiudano subito questa vergognosa ingiustizia nei confronti dei lavoratori e vengano immediatamente emanate nuove disposizioni.

Roma, 26 luglio 2024 (C48)

USB Pubblico Impiego Inps

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